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L'appuntamento | Il dilemma del perdono

La regista macedone Teona Strugar Mitevska ha presentato in anteprima alla 79° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il suo nuovo lungometraggio, dal titolo L'appuntamento (in macedone il nome originale, tradotto, sarebbe L'uomo più felice del mondo). La pellicola viene distribuita poi dalla Teodora Film nelle nostre sale a partire dal 6 Aprile.


Dopo il fortunato Dio è donna e si chiama Petrunya, premiato a Berlino nel 2019, Mitevska torna ancora una volta a raccontarci una storia con protagonista una forte figura femminile. Sarajevo, giorni nostri, Asja e Zoran sono due quarantacinquenni che si incontrano ad uno speed date. L'intento del loro appuntamento è quello di conoscersi a vicenda ed eventualmente valutare la possibilità di instaurare una relazione amorosa. Ma il fine di Zoran in realtà è ben diverso. L'uomo infatti non si è presentato all'incontro per single per effimeri motivi, ha cercato e scelto Asja come sua partner per un preciso e più profondo scopo: quello di chiederle perdono per averla ferita, circa trent'anni prima, durante il conflitto armato che ha colpito gli Stati dell'ex Jugoslavia e che ha portato alla creazione delle moderne democrazie Balcaniche .

'L'appuntamento' è un film che racconta come la popolazione di questi Paesi, devastati negli anni '90 dall'orrore della guerra, cerchi in tutti i modi di lasciarsi alle spalle le ferite del passato. Ma lo si fa a fatica, quasi in modo bizzarro, tentando di emulare una convivenza pacifica, tra i vari gruppi etnici che hanno preso parte al conflitto, che di base ancora manca del tutto.

È un film che parla di perdono e della forza assolutoria che esso può avere, giungendo però ad una morale piuttosto amara al riguardo, che sembra quasi demolire questa mitizzazione della clemenza.

All'orrore della guerra e delle sue indelebili conseguenze, la regista ha contrapposto la frivolezza dello speed date e dei personaggi che vi partecipano e, soprattutto, di quelli che lo organizzano e gestiscono. La forma al limite dell'assurdo di alcune situazioni e caratterizzazioni non delude nel riuscire a far alternare, allo spettatore, sorrisi e profonde riflessioni, quasi ad emulare lo stile del più strutturato Lanthimos. I personaggi secondari de 'L'appuntamento' sembrano non voler vedere, sentire o parlare, quasi in modo omertoso, ancora di guerra e distruzione, ed emblematico in tal senso è il poster promozionale della pellicola. Ma non è facile biasimare questo tipo di comportamento, emerge piuttosto, in modo anche empatico, la volontà di lasciarsi il passato alle spalle, non per dimenticare, ma semplicemente perchè appare più importante ricostruire, edificare, proprio come i palazzi che vengono tirati su nel cantiere edilizio nelle immagini d'apertura. Un'edificazione che a tratti vorrebbe anche quasi mutare la forma delle cose passate, proprio come sta mutando l'immagine della stessa città di Sarajevo.

Lo speed date, oltre che mezzo narrativo per conoscere la storia dei due protagonisti principali, il perché sono lì uno di fronte all'altro a scavare nei reciproci passati, diviene anche il contrappeso che smorza i toni forti e drammatici che un film sulle ferite di guerra per forza di cose può avere.

Un focus particolare viene inoltre fatto su un tema abbastanza abusato quando si parla delle conseguenze dei conflitti armati, e cioè di come la tragedia possa rubarti anni di vita che indietro non tornano più. Siamo però più abituati, forse anche perché in grado di creare maggiore sensazionalismo, a soffermarci sugli anni che la guerra 'toglie' ai bambini, e meno però a focalizzarci su un'altra fascia d'età, quella della prima giovinezza, e che riguarda in prima persona la nostra protagonista Asja. Corollario di ciò è la fase di riappropriazione del corpo femminile, della libertà erotica e seduttiva propria di quegli anni 'rubati', che Asja vive in una bellissima scena di ballo redentore ed estasiante.

Una riflessione poi obbligata è quella sulla banalità del conflitto armato in sé. Su quanto sia così difficile e segnante il primo colpo di arma da fuoco e, paradossalmente, così ordinari i successivi. Senza un'ideologia o passione che faccia da motore. In guerra si spara per sentirsi 'uomini'. Si spara perché 'ce lo ordinano'. Si spara quasi per gioco. Un gesto che diviene nel tempo facile ma che prima o poi chiederà il suo tornaconto. Tematica questa universale ed ancora così tristemente attuale.


Il cinema slavo meridionale sta crescendo allo stesso ritmo incalzante con cui le loro stesse città si riedificano. Con dignità e spessore. Con la volontà di evoluzione. Il popolo dell'ex Jugoslavia è proprio come quel fermo immagine finale sulla città di Sarajevo, mille luci che lentamente si riaccendono sullo sfondo di un cielo che per troppo tempo è stato nero. Con la forza della consapevolezza e del perdono, che non sarà in fin dei conti così salvifico, ma che perlomeno ci ricorda che siamo esseri umani.


L'appuntamento è attualmente in programmazione in diverse sale italiane. Se amate il cinema d'autore è sicuramente una visione che dovete recuperare.


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