Michel Ocelot – Non aver paura degli occhi blu!
- Stefania
- 7 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Oggi vorrei dedicare questo articolo al regista Michel Ocelot, autore che si distingue per il carattere della sua fenomenale produzione artistica e per la drammaturgia della sua arte, nella quale la delicatezza della sua poetica costituisce una voce di non comune valore in un ambiente dove purtroppo sembra regnare e prevalere l'inclinarsi alla distruzione delle forme più delicate. La sua arte, scaturita dalla fusione del disegno e dalla narrazione, ci invita a scoprire le meraviglie del nostro mondo, dove ogni presentazione contrapposta al degrado attuale, sazia i nostri occhi. Ocelot come un tessitore di storie, riesce a richiamare radici profonde e, con questa urgenza rappresentativa, cerca di accendere la fiamma della speranza, la curiosità per nuove culture e per la vita stessa. Cerca di ergere quella sensibilità per la bellezza collaterale racchiusa in ogni cosa, anche in un fiore che sboccia.

Michel Ocelot è un regista, sceneggiatore e animatore francese che ha rivoluzionato l’animazione, trasformandola in efficace veicolo per esplorare i grandi temi dell’esistenza; i suoi film trattano della lotta contro i pregiudizi e la violenza, della difesa della giustizia e della bellezza della diversità culturale. Fin dal principio, mostra un’inclinazione per le storie che affondano in culture lontane e la ricerca di un linguaggio capace di conciliare il proprio con l’universale. Ed è questa sete di conoscenza che dà carattere alla sua filmografia insita di racconti che legano alle tradizioni e alle mitologie di culture diverse, un unico linguaggio: quello del rispetto e dell'amore per la diversità. È infatti, l’incontro di mondi diversi uno dei tratti distintivi e salienti del suo lavoro; con grande delicatezza mescola l'esotico con l'ambiente familiare e riesce a creare soggetti capaci di toccare corde profonde dell'animo umano.

Ocelot nasce nel 1943 nei pressi di Nizza, ma nel 1949 inizia a vivere a Kankan (in Guinea). Nella scuola guineana, non si sente uno straniero. La Guinea comincia ad essere per lui casa: un luogo di contrasti cromatici assai forti, intensi e pregni di tradizioni differenti; insomma un paese capace di nutrire l'animo, consentendogli di alimentare la passione per il disegno attraverso la sensibilità alla bellezza e all'arte. A Parigi, invece, studia presso l'Accademia di Belle Arti di Angers, dove il suo talento prevale in ogni disciplina artistica. Successivamente, segue la passione per la regia di film d'animazione guardando “I giocattoli ribelli” di Hermína Týrlová. La caratteristica della sua poetica si focalizza sull’inclusività rivolta ad abbracciare tutte le civiltà e culture del mondo: non si attiene soltanto a quella europea, ma si appassiona anche alla cultura egiziana, greca, ed in primo luogo alle tradizioni africane, ad esempio agli influssi dei “Griot” dell' Africa occidentale che a viva voce trasmettono da secolo a secolo le leggende ed i racconti popolari o gli influssi degli “Aedi” dell' antica Grecia.
Tra le sue pellicole di maggior successo e rilevanza troviamo Kirikù e la Strega Karabà, Azur e Asmar e il Faraone, il Selvaggio e la Principessa.
Nel primo Ocelot, evidenzia differenti tematiche che al giorno d’oggi devono indurci a riflettere attentamente: il potere della conoscenza e della verità, il male come conseguenza di un trauma, l’empatia come guarigione, la lotta contro i pregiudizi e l’accoglienza dello straniero. Ma affrontiamo punto per punto: Kirikù dimostra la vera forza insita nella curiosità, nell’intelligenza e nella capacità dei bambini di porre domande (“Perché sei cattiva strega?”). Karabà non è cattiva di natura, ma proprio come l’animo umano, può mutare dopo aver subito sofferenze, in questo caso lei cambia a causa di un trauma: la violenza subita dagli uomini del villaggio. In tal senso, il regista, cerca di invitare lo spettatore ad osservare la sofferenza non come un’entità da eliminare, ma dalla quale si può uscire, attraversandola. La metafora della spina conficcatale al centro della schiena che lei non riesce a togliersi, simboleggia che non possiamo salvarci da soli; a volte, bisogna chiedere aiuto. Infatti, solo attraverso l’intervento di Kirikù, che con i denti sdradica l’aculeo dalla colonna vertebrale, lei avverte quel senso di sollievo e tranquillità che da tempo non provava più e viene riaccolta dall’intero villaggio, inizialmente con riluttanza, poiché non riconoscono il piccolo Kirikù ormai uomo.

In “Azur e Asmar” invece, al centro della storia troviamo due bambini: Azur, europeo con gli occhi azzurri, figlio di un nobile e Asmar, arabo, figlio della nutrice che cresce entrambi. Crescono insieme come fratelli, ma vengono separati a causa della barriere culturali e sociali tra i due mondi. Li accomuna sin dall’infanzia trascorsa insieme, il racconto della mamma – nutrice che rimbomba nella memoria di entrambi: la ricerca della fata dei Jinn.
Questo racconto diventa l’emblema dell’intero film, in quanto invita Azur ad attraversare le barriere culturali impostategli dal padre, ma che lui non aveva mai considerato. Intento a liberare, come da racconto della sua nutrice, la fata dalla sua prigionia, si imbatte in diversi luoghi, personaggi, tradizioni e pregiudizi: quello della maledizione degli occhi blu. Deciso nel proseguire il viaggio e vedendo l’ostilità della gente nel vedere i suoi occhi, finge di essere cieco e si imbatte in un personaggio ambiguo: Rospu. Un mendicante burbero e scontroso, che in realtà nasconde a sua volta lo stesso segreto di Azur sotto i suoi occhiali. Si scoprirà aver tentato anche lui, durante la sua gioventù, di liberare la fata dei Jinn senza successo, così decide di aiutare Azur, diventando i suoi occhi. Ad un certo punto, ascolta una voce che riecheggia nel mercato: è quello della sua nutrice. L’incontro tra i due è a dir poco magico!
Lei gli rivela che anche suo figlio Asmar è intento ad affrontare questo viaggio e che finanzierà le spese per entrambi. Quel bambino, una volta suo fratello, si rivolge inizialmente ad Azur con ostilità, ricordando come il padre ha cacciato lui e la madre anni prima. Durante il viaggio si imbattono in diverse sfide, mettendo in evidenza la solidità del loro rapporto mai dimenticato e mai mutato. La morale si cela dietro la ricchezza dall’incontro di culture nuove rivelatesi ai nostri occhi assetati!

Mentre nel terzo film d’animazione citato “Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa”, Ocelot racconta tra storie d’amore e di avventura ambientate sempre in epoche e luoghi differenti: nell’Antico Egitto, nella Francia Medievale e nella Turchia del XVIII secolo. I protagonisti sono un giovane re che vuol diventare faraone per poter conquistare una principessa, un principe che diventa “il bel selvaggio” sfuggendo alla morte e uno spodestato che seduce una principessa. I tre racconti sono legati dalle tematiche del coraggio, dell’amore e del destino che viaggiano simultaneamente alla diversità culturale e al dialogo tra i popoli.

Mi sento di poter creare un paragone tra l’arte dell’animazione di Ocelot ed il cromatismo di Gauguin: entrambi scelgono di rappresentare paesaggi esotici invasi da una sensazione fiabesca, di mistero e magia. Le forme dai colori vibranti e saturi appaiono stilizzate per enfatizzare ancor di più il senso poetico e simbolico dei luoghi.


Trovo che la poetica di Ocelot sia una delle più belle e delle più sottovalutate. Vorrei sdoganare questa credenza, mettendo in risalto la sua animazione capace di trasformarsi in vero e proprio atto politico attraverso una sola espressione: l’Arte. La sua potenza espressiva riecheggia in me come il taglio di Fontana sulla tela, come il cromatismo acceso di Gauguin o quello tagliente dei Die Brucke. In questo mondo e soprattutto in questo periodo segnato da conflitti, discriminazioni e muri culturali che vengono sempre più innalzati, la poetica di Ocelot segna con forza e al contempo delicatezza, la diversità come ricchezza e non minaccia come vogliono indurci a credere. Il suo messaggio si trasforma quasi in un atto politico contro quelle potenze che ci invitano ad abbandonare e a non sviluppare l’empatia insita in noi.
Ocelot ci sprona a non aver paura degli occhi blu di Azur!

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