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Lettera aperta | Il Ragazzo Dai Pantaloni Rosa

Immagine del redattore: DavideDavide

Chi è solito leggere questo blog sa abbastanza bene che la forma, il tono, il linguaggio utilizzato per parlare di musica, cinema, serie tv e arte non è mai stato o voluto essere professionale. Non ne ho le competenze. L'idea "Criticando!" nasce da me e la mia amica Stefania come spazio virtuale in cui confrontarci in campo artistico. Il tempo, materialmente parlando, per trovarsi davanti ad un caffè e chiacchierare di tutto questo spesso manca e quindi perché non creare uno spazio virtuale in cui le nostre chiacchiere, i nostri pensieri e le nostre opinioni possano essere condivise con un pubblico più ampio? Questa è stata la nostra premessa e continua ad essere il nostro faro nella scrittura. Questo reminder è oggi obbligatorio perchè il post che sto per scrivere è probabilmente quello più atipico e singolare mai pubblicato ad oggi. È una lettera aperta sulla mia esperienza che prende il "via" ovviamente da un prodotto artistico, in questo caso dal film Il Ragazzo Dai Pantaloni Rosa nelle sale cinematografiche in questi giorni.



La pellicola, diretta da Margherita Ferri, racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena, un ragazzo di soli 15 anni vittima di bullismo e cyberbullismo a sfondo omofobico che il 20 Novembre 2012 ha deciso di togliersi la vita. È una storia dura, come tutte quelle che spesso ci appaiono sui social o sentiamo al tg e alle quali senza nemmeno volerlo ci assuefacciamo. Ed UNA storia, ma non è l'unica. È la storia che ha permesso a questa regista di creare un lungometraggio da una struttura narrativa semplice, molto, volutamente e giustamente teen, che si contrappone ad un carico emotivo fortissimo che il prodotto ha in sé in modo intrinseco. Tale contrapposizione permette a questa storia di selezionare il più ampio pubblico possibile, di parlare agli adolescenti e ai loro genitori con due linguaggi diversi ma che mirano allo stesso scopo: la sensibilizzazione. È un lavoro saggio quello di Margherita, quello di non usare mai la parola "omofobia" o "omosessualità", quello di raccontare la vicenda dal punto di vista di Andrea che a 15 anni ancora non cercava una definizione con cui etichettarsi ma che voleva solo vivere libero dalle catene e i pregiudizi altrui. Amare, cantare, ridere, esplorare il mondo come ogni quindicenne merita di fare. È singolare, esemplare direi, il rapporto tra il ragazzo e la sua mamma Teresa, interpretata da Claudia Pandolfi con un'empatia ammirevole e viscerale. Ed è stato forse proprio questo a innescare in me un'esplosione emotiva mai avuta prima in una sala cinematografica. Un pianto incessante che non riusciva nemmeno a farmi alzare dalla poltrona e uscire dalla sala a fine film. Un qualcosa che non so ancora elaborare e di cui, per coerenza, preferisco nemmeno adesso indagare.

Quel che invece posso indagare sono le tante volte in cui su quello schermo in Andrea ho rivisto me a 15 anni. Inizialmente questo pensiero l'ho fuggito, perché non volevo paragonare la mia storia, così piccola ed insignificante, all'immenso dolore che ha vissuto questo ragazzo. Mi sembrava così presuntuoso, arrogante, egoriferito da parte mia. I ricordi di quegli anni però sono stati così forti che ancora ora, a distanza di tante ore dalla visione della pellicola, continuano a ronzarmi in testa. Non mi tormentano, perché oggi a 38 anni sono sotto questo profilo un ragazzo, un uomo potrei dire, abbastanza strutturato al riguardo. Ma mi fanno riflettere sulle conseguenze che hanno avuto in questi anni di formazione e crescita. Anch'io come Andrea ho conosciuto l'estraneazione, quella sensazione di sentirsi solo, alienato, isolato rispetto al resto della propria classe, o forse scuola. Anch'io come Andrea ho avuto la fortuna di conoscere una outsider, una ragazza coraggiosa e diversa dalla altre che mi ha scelto, mi ha fatto sentire importante per lei e che mi ha accompagnato in quegli anni tortuosi alla ricerca della mia identità sessuale e non solo. Anch'io come Andrea, non capendo quale fosse il motivo di questa sensazione di diversità, finivo con l'infantilizzarmi, quasi come ad ostacolare lo scorrere del tempo per evitare di sentirmi adolescente e fare i conti con quelle che sono le sfide di quell'età. Ma soprattutto anch'io come Andrea sono stato un bambino gioioso, spigliato, divertente, entusiasta che è finito però, a fine liceo, col ritrovarsi ad essere un ragazzo insicuro, spento, fragile, spezzato, rotto e incapace di capire quale strada prendere per il proprio futuro.

Sono entrato in quel maledetto liceo con questo entusiasmo. Ero quel ragazzino che amava Madonna e le Spice Girls, che faceva a casa i balletti in cameretta sulle loro canzoni. Sono finito con l'essere quello da bloccare con forza per potergli scattare una foto all'ingombrante naso di profilo e riderci su. Le risatine beffarde, quelli che ti chiamano "RinaldA" o "la bella della classe", la paesanotta di turno che sussurra all'orecchio di un altro compagno di classe in gita "non dormire in camera con Davide che a quello piacciono i maschi", non sono NULLA rispetto ai feroci atti di bullismo che Andrea Spezzacatena ha vissuto. I miei si contano sulle dita di una mano e si riducono a questi episodi, nomignoli a cui non ho mai dato tanta importanza, forse proprio perché non volevo che mi definissero o condizionassero. La sensazione di isolamento però, così ampia e avvolgente, invece mi ha distrutto per davvero, ha lasciato tanti segni che ancora oggi nei miei incubi notturni tornano a perseguitarmi. Mi sveglio, ho accanto il mio compagno di una vita che mi rassicura e sa cosa ho sognato, mi riaddormento e per fortuna, con tutte le sua altalene, la mia vita va avanti. Ma cosa ne è delle vita di chi da tutto questo non ne esce? Cosa ne è stata della vita spezzata di Andrea? La mia è solo una piccola esperienza, semplici sfottò li definivo, ma sono sicuro che attorno a me ci sono milioni di adolescenti che hanno provato, chi più o chi meno (chi sene frega, il dolore non è mica quantificabile) queste sensazioni distruttive.

Quanto altro dovremo aspettare affinché le cose cambino? Affinché la legge ci tuteli?

Ed è proprio perché vorrei vedere "il bicchiere mezzo pieno" che a fine pellicola ho riflettuto su questo: se le istituzioni ancora fanno troppo poco per accorgersi di queste situazioni, spero che almeno le coscienze collettive possano in un certo qual modo cambiare, anche solo grazie ad un film, uno dei tanti, uno che influenza tanti, uno che fa riflettere tanti. La sala era gremita di genitori con figli e figlie dell'età di Andrea, questo mi ha rincuorato. Mi rincuorerebbe però sapere se chi in quegli anni oscuri nemmeno mi degnava di uno sguardo o rideva di me adesso, probabilmente genitore, abbia compreso cosa significhi non fermarsi alle apparenze e possa essere in grado di insegnare alla propria prole cos'è l'empatia. Si dice che è dai piccoli semi che nascono gli alberi più possenti. Se è davvero così sono sicuro che Andrea un domani sarà uno di quegli alberi secolari, nel parco di una grande città, che nessuno potrà mai abbattere e all'ombra del quale trovare un momento di amore.




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