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La Vita Davanti A Sé | Emotività VS Retorica

L'atteso ritorno sul grande schermo del Premio Oscar Sophia Loren, previsto per le giornate del 3-4-5 Novembre 2020 nelle sale di tutta Italia, rientra di diritto nella lista delle più grandi rinunce culturali che questa funesta annata cinematografica ha subito. A causa della pandemia da Covid-19 anche questa pellicola infatti ha avuto il suo debutto direttamente su piattaforma digitale Netflix, in data 13 Novembre.


Erano 11 anni che la Loren non lavorava in un lungometraggio cinematografico, a convincere la grande diva a tornare davanti alla macchina da presa è stato proprio suo figlio, il regista Edoardo Ponti, con una sceneggiatura rivisitata del romanzo La Vita Davanti A Sé di Romain Gary, già trasportato sul grande schermo con un omonimo film nel 1977. Il nuovo film di Ponti racconta dell'incontro tra un giovane ragazzino senegalese, Momo, orfano ed incline al totale rifiuto delle regole, con l'austera e verace Madame Rosa, un'anziana ex prostituta ebrea, sopravvissuta ad Auschwitz, conosciuta e rispettata da tutto il quartiere per l'aiuto spesso prestato nell'allevare i figli delle più giovani ex colleghe. Dall'incontro/scontro tra i due personaggi principali prende il via la vera e propria trama della pellicola, in grado di esplorare diverse ed interessanti tematiche.



Tuttavia, nonostante le ottime premesse, si ha come l'impressione che La Vita Davanti A Sé resti un film riuscito a metà. Pur soprassedendo alla retorica di cui è intrisa l'intera vicenda, ricca di cliché, prevedibile nella sua evoluzione e a tratti anche banale, non si riesce a digerire invece la mancanza di approfondimento da parte dello sceneggiatore di diverse importanti tematiche che paiono solo abbozzate e non del tutto analizzate. Prima fra tutte vi è la questione religiosa. Momo, come afferma Madame, 'non sa di essere musulmano', e già questa considerazione dice tanto sull'imposizione forzata ad una precisa religione basata solamente sulla propria etnia, di cui spesso, erroneamente, la società moderna è ancora colpevole. L'incontro con Madame Rosa, ma soprattutto con Joseph, un ragazzino ebreo ossessionato dalla Torah, e parallelamente la vicinanza al Signor Hamil, un negoziante musulmano presso cui Momo inizia a lavorare, avrebbero potuto sviscerare la tematica religiosa, da sempre attuale nello scontro Israele/Palestina, destando riflessioni interessanti, specie su quel processo di autodeterminazione religiosa che consente ad ogni singolo individuo la libertà di scelta, in questioni di appartenenza di fede, al credo che più si sente vicino.

Ancora, nel rapporto tra i due protagonisti viene dato, a livello di minutaggio, molta più attenzione alla fase di 'scontro', trattando invece, al contrario, troppo frettolosamente la conciliazione che avviene in seguito. Motore di questo avvicinamento è sicuramente il passato 'segreto' di Madame Rosa, che sorprende Momo e lo fa sentire più simile di quanto credesse all'anziana donna. Ma anche questo punto sembra essere trattato in modo molto approssimativo, della vita ad Auschwitz della donna viene rivelato ben poco, lasciando lo spettatore con diversi punti di domanda che possono essere sciolti soltanto applicando una serie di triti e ritriti luoghi comuni che raccontano la solita stereotipata visione della Shoah, priva in questo caso di particolarismi personali. La sensazione che si ha è proprio quella che il film duri davvero troppo poco, che non ci sia stato il tempo necessario per poter raccontare, o comunque approfondire, il tutto. È anche vero però che, a pellicola conclusa, l'effetto finale è quello di aver visto, nonostante tutto, un bel film. Accantonando il pensiero critico e lasciandosi avvolgere semplicemente dalla propria carica emotiva, La Vita Davanti A Sé riesce ad essere dallo spettatore, conscio di tutte le sue lacune, in ogni caso promosso.


L'emotività è in buona parte scatenata dall'interpretazione magistrale di Sophia Loren, una donna in grado di recitare anche solo con l'intensità del proprio sguardo. Il film appare agli occhi di molti come un lento 'farewell tour', in cui la grande attrice, in modo fortemente nostalgico, sembra lasciarci quello che potrebbe realmente essere il suo ultimo ruolo da protagonista.


Accanto a questa iconica personalità regge egregiamente il lavoro svolto dal piccolo Ibrahima Gueye, sorprendentemente per la prima volta sullo schermo, che, al pari della sua co-protagonista, con due occhi carichi di una profondità ed intensità unica, riesce a narrare la sofferenza e la rabbia che Momo ha dentro, anche senza dover per forza raccontarsi con eccessive parole.

Un valore aggiunto alla pellicola è dato dalla scelta di Edoardo Ponti di ambientare la vicenda nella città di Bari, set insolito per questo tipo di produzioni dallo stampo internazionale. Con la vivacità del suo centro storico e la decadenza nostalgica del quartiere murattiano, la città possiede i colori perfetti per descrivere le anime dei suoi protagonisti, ma soprattutto il multiculturalismo che solo una città 'di mare', con un imponente porto quasi sempre in primo piano, può in pieno rappresentare. In conclusione, posso sicuramente dire che La Vita Davanti A Sé rappresenta una dura lotta tra la sfera emotiva e quella più critica/razionale dello spettatore. Il risultato è ovviamente soggettivo e collegato, per l'appunto, molto allo stato d'animo di chi osserva e alla sensibilità di saper cogliere sfumature che possono più o meno colmare l'assenza o la celerità di diverse argomentazioni.

Per quanto mi riguarda, direi UNO a ZERO, palla a centro, a favore dell'emotività!




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