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  • Immagine del redattoreStefania

Marina Abramovic | Attraversare i muri

Il contatto reciso, la distanza sociale e la ricerca della libertà da elemosinare si stanno rivelando essere nemici della società e della cultura, soprattutto nel campo artistico. L’arte d’altronde è sempre stata valvola di sfogo delle emozioni e non poter visitare gallerie, entrare nei cinema e nei teatri rattrista l’anima. Ciò che stiamo vivendo avrebbe riscontrato sicuramente un impatto negativo anche negli anni ’60 con la Body Art, dove il contatto umano è sempre stato emblema del suo linguaggio. “L’arte del corpo” scava nell’animo, induce l’artista e il fruitore coinvolto, ad interagire tra loro. Secondo la “nonna della Body Art”, da lei stessa nominatasi, l’arte è un superamento dei propri limiti mentali e fisici: costei è Marina Abramovic. Nasce a Belgrado il 30 novembre del 1946 ed entrambi i genitori erano partigiani della seconda guerra mondiale: suo padre Vojin Abramovic fu un comandante riconosciuto e sua madre Danica, maggiore dell'esercito, successivamente nominata direttore del Museo della Rivoluzione e Arte in Belgrado. Come l’Abramovic stessa afferma all’interno del suo libro autobiografico “Attraversare i muri”, nella sua famiglia vigeva un’aria di austerità, ma è proprio all’interno di essa che scopre il suo amore per l’arte. All’età di 14 anni, infatti, ricevette la prima lezione d’arte dal padre: chiese di esserle comprata una scatola di colori e lui si presentò con un amico il quale cominciò con il tagliare a caso un pezzo di tela, poi una volta steso a terra vi gettò sopra colla, sabbia, pietrisco, bitume, colori vari dal giallo al rosso, poi dopo aver cosparso il tutto con trementina collocò un fiammifero al centro della composizione che fu avvolta dalle fiamme e disse: "Questo è il tramonto”.

Da quel momento l’arte racchiusa prima in sé, iniziò a sprigionarsi prima su delle tele, successivamente sul proprio corpo! Dal 1965 al 1972 studia presso l'Accademia di Belle Arti di Belgrado e dal 1973 al 1975 inizia ad insegnare presso l'Accademia di Belle Arti di Novi Sad. Proprio in quegli anni inizia a creare le sue prime performance, cercando di superare i limiti imposti dall’arte tradizionale e figurativa appresa durante gli anni accademici, al fianco del suo grande amore e collega Ulay: lui le rimarrà al fianco sino al 1998 con l’ultima performance che sancì la fine del loro rapporto, vedendoli percorrere più di duemila chilometri della Grande Muraglia Cinese. Una performance d’artista che richiese otto mesi di preparativi e tre di viaggio con un finale inaspettato, in cui lui chiese a Marina: “Che cosa devo fare adesso?”, “Non lo so, ma io me ne vado”, rispose lei. Questa è la conclusione di The Lovers.

Mentre in “Iponderabilia”, si vede il pubblico costretto a entrare nel museo oltrepassando i corpi dei due artisti. E dal momento che lo spazio è strettissimo, i visitatori non hanno la possibilità di passare guardando dritti davanti a loro, ma devono per forza scegliere se rivolgersi verso Marina Abramovic o verso Ulay. La volontà di registrare la reazione e l’imbarazzo del fruitore sembra essere uno degli obiettivi principali dell’atto performativo. La performance avrebbe dovuto durare tre ore, ma viene poi interrotta a metà da due giovani agenti di polizia che la ritengono oscena e passibile di censura.

In “Expansion in Space”, invece, l’Abramovic studia una nuova modalità di conquista del mondo: all’interno della suddetta performance infatti, lei e Ulay devono correre nudi e scontrarsi contro le colonne. Cerca di ritrovare una sinergia con lo spazio e tutto ciò che la circonda; una connessione con tutte le cose che la riguardano.

Molte altre sono le performance che li vedono protagonisti tra cui “Breathing in and breathing out” dove i due rimangono bocca a bocca per venti minuti, respirando il respiro dell’altro, fino a spingere i loro corpi quasi a soffocare. Alla fine caddero a terra privi di sensi 17 minuti dopo l’inizio della performance, nell’intento di esplorare come un individuo possa assorbire, condizionare e distruggere la vita altrui.

“AAA” è uno degli atti performativi più famosi, in quanto producono una serie continua di suoni vocali in quello che può sembrare inizialmente un gioco infantile dove, con il graduale aumento di tensione e con l’avvicinarsi dei volti, urlano l’uno dentro la bocca spalancata dell’altro fino a perdere la voce. Ma non si può non citare “Rest Energy”, che potrebbe sembrare una performance romantica, senza nudità, ma non meno pericolosa ed estrema delle altre: vede Marina reggere un grande arco dalla parte dell’impugnatura, lo sguardo fisso su Ulay che tiene la corda tesa e una freccia in cocca. I 5 minuti più lunghi della sua vita! La punta rivolta al cuore di Marina. I loro battiti accelerati sono amplificati in tutta la stanza. La tensione dell’arco a simboleggiare il loro rapporto, un equilibrio precario in cui ogni movimento o perdita di peso può essere fatale. I due impugnano la morte agli estremi, rappresentando la fine come un divario.

Insomma, l’Abramovic non sbaglia un colpo e continua a regalarci performance che vanno oltre i limiti imposti dal nostro corpo e dalla nostra mente; lei afferma di lavorare costantemente col seguente dualismo, dove il tempo si rivela essere il "fil rouge" di ogni suo atto performativo. Questi, infatti, è stato nel corso della sua carriera artistica, oggetto e soggetto predominante di ogni sua scelta; solo il tempo le ha permesso di acquisire maggiore maturità non ancora completamente svelata nella sue prime performance. Il cambiamento si nota all’interno della serie “Relation in Works”: “Relation in space” e “Relation in time”. Soprattutto in quest’ultima il legame e la connessione tra le due menti viene sancito dal legame dei capelli di Marina e Ulay.

Questo concetto è stato ripreso recentemente in “The artist in present” , dove durante la performance l’artista cerca di creare un momento sublime tra lei e il pubblico che la osserva inerme su una sedia: il pubblico viene invitato a sedersi di fronte e a guardare l’artista negli occhi. Ma a questo punto c’è un colpo di scena che neanche la nonna della Body Art aveva previsto: Ulay è uno dei fruitori e l’incontro dopo anni, destabilizza ed emoziona anche l’Abramovic, che seppur immersa nella sua performance non può far a meno di mostrare la sua incredulità e felicità. Un momento sublime, di pochi istanti, ma di infinita bellezza.

Questo atto performativo in particolare sembra esser, se vogliamo, rappresentazione di ciò che stiamo vivendo; il distanziamento sociale e il contatto negato lasciano spazio alla connessione di sguardi, che ancora una volta riescono ad interagire tra loro. Una distanza imposta che non può allontanare il valore del calore umano. LEI, che a quella visione cambia gli schemi della performance, allungando le mani verso il centro del tavolo, verso quello sguardo che già conosceva, alla ricerca di un suo contatto. NOI che come Lei, oggi cerchiamo di imitarla; NOI che un giorno torneremo a "toccare" quello sguardo!


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