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The Help | Ipocrisia cromatica



'Tu sei brava, tu sei carina, tu sei importante!'


Sono queste le parole con cui Aibileen Clark 'cura' l'autostima precaria della piccola Mae Mobley, primogenita della benestante famiglia Leefolt presso cui lavora come domestica. Nel 1962, a Jackson, come in tutto il Mississipi e gran parte degli Stati Uniti, i figli, le case, i pasti, l'argenteria e l'alimentazione del proprio ego, sono i compiti di cui molte donne afroamericane, come Aibileen, devono quotidianamente occuparsi.

Sono anni duri per l'America, la lotta per i diritti civili della gente di colore, trainata da Martin Luther King, fomenta sia episodi di violenza da parte di chi, legati ancora ad un retaggio culturale schiavista, considera queste persone 'inferiori', e sia episodi di solidarietà, di progressismo ed apertura verso un futuro più egualitario per ogni essere umano. E in questo secondo filone sociale che Eugenia 'Skeeter' Phelan, la protagonista del film The Help, si colloca. Spirito indomabile, come i suoi perennemente arruffati capelli, Skeeter sogna di diventare una scrittrice. Dopo il conseguimento di ben due lauree, tuttavia, sgomita per farsi strada in un mondo in cui alle 'donne del Sud' è ancora preclusa la possibilità di 'scegliere' la propria carriera, e così, alla ricerca di ispirazione per la prova editoriale a cui una casa editrice di New York l'ha posta, scrivere di qualcosa di rivoluzionario e in cui credere per davvero, torna a casa, nel Mississipi, in quella parte di Stati Uniti così ancora retrograda e anacronistica. Qui l'aspirante scrittrice si scontrerà con un universo ancora costruito sulle apparenze a cui non sente di appartenere, restando sconcertata dal modo in cui le domestiche di colore vengono trattate da quelle che un tempo, prima di lasciare il suo paese natale, erano le sue migliori amiche, adesso trasformate in snob ed altezzose abbienti 'mogli trofeo'. Avvicinandosi sempre più al mondo sconosciuto delle domestiche afroamericane di Jackson, Skeeter decide di dar vita ad un progetto più che ambizioso che potrebbe aprirle la strada nel mondo editoriale delle Grande Mela: raccontare della vita di queste donne narrando il tutto dal loro punto di vista, scrutandone gli animi e ricercando nelle semplici vicende di vita quotidiana gli abusi e i soprusi a cui sono costantemente sottoposte.


The Help è un film molto colorato. La stessa locandina con quel giallo abbagliante ne è una prima conferma. Sono gli anni 60, le case color pastello, i vestiti floreali sulle riviste di moda, le acconciature voluminose e dai colori sgargianti, dipingono un 'arcobaleno' in cui tutte le tonalità sono contemplate. Tutte tranne una: il nero. Il non colore, o, per definizione, il colore 'acromatico'. Il nero sulla pelle di altri esseri umani spaventa, quasi come fosse in grado di mettere in ombra la cromaticità accesa del mondo perfetto dell'aristocrazia terriera. Per questo deve essere isolato da tutti gli altri colori, confinato in zone periferiche rispetto al centro residenziale, standardizzato in divise da domestica quasi a snaturalizzarne una propria identità, segregato in un apposito bagno costruito nei giardini di tutte le lussuose ville di Jackson poiché attentato alla salute e alla vivacità con cui le vite dei 'più ricchi' devono proseguire. Nel cromatismo dell'ovattata esistenza di questa classe sociale si nasconde la più spietata delle ipocrisie, quella di chi organizza serate di beneficenza per aiutare i bambini in Africa, di chi utilizza versi della Bibbia per giustificare la propria mancanza di empatia, di chi sforna figli e sposa persone 'perché così fan tutte' e di chi ogni settimana organizza tornei di bridge per coltivare relazioni sociali e mantenere acceso l'apparente dipinto di quella che, ai tempi, veniva definita la cornflakes family. È dietro l'ipocrisia di questa finta realtà che si snoda un intreccio di relazioni devianti e socialmente nocive di cui la 'discriminazione' è centro focale. La pellicola non si limita a narrare la storia della lotta afroamericana per la conquista di diritti umani fondamentali: le discriminazioni del patinato Mississipi sono ancora più intrinseche e peculiari, sono quelle verso una ragazza che sceglie di non avere un marito e di realizzare la propria individualità nel campo professionale, quelle verso la ragazza sexy di campagna che con la sua poca raffinatezza ruba il 'miglior partito' a tutte le altre 'dame' single della comunità, e persino quella verso la propria bambina un po' grassottella a cui viene negato, oltre ad ogni altra dimostrazione di affetto materno, il diritto di mangiare in pubblico. A curare le ferite aperte da questo sistema interazionale orribile ci sono loro, le nostre domestiche, le eroine del nostro film, pronte a crescere i figli delle altre donne come se fossero i loro, mostrando solidarietà verso chi, a prescindere dalla tonalità di pelle, vive la loro stessa emarginazione e, con un grande atto di coraggio, decidendo di dissociare il proprio colore dalle 'ombre', porsi sotto i riflettori e raccontare, tramite Skeeper, la propria condizione e farne un libro.



'Il coraggio non sempre equivale a prodezza. Il coraggio è avere l'ardire di fare ciò che è giusto, malgrado la debolezza della nostra carne'


La pellicola, diretta da Tate Taylor sulla sceneggiatura dell'omonimo romanzo scritto da Kathryn Stockett, è stata una delle più apprezzate nella sua annata sia dal pubblico che dalla critica. Quattro nomination agli Oscar del 2012 e vincitore del premio per la 'Migliore Attrice Non Protagonista' ad Octavia Spencer, per il ruolo dell'esilarante domestica Minny.

Oltre alla magnifica performance della Spencer, tuttavia c'è da dire che The Help ha un cast di tutto rispetto nel quale sicuramente spiccano anche le performance della protagonista Emma Stone nelle vesti di Skeeper, di Viola Davis nel ruoso di Aibileen e di Jessica Chastain per la sua stramba Celia Foote.


Nonostante la sceneggiatura si collochi in una dimensione temporale, quella degli anni 60, dove le lotte civili erano sicuramente più vive rispetto ad oggi, The Help riesce comunque ad essere una pellicola interessante e gradevole anche in età contemporanea. Narratore di uno spaccato di vita peculiare rispetto alle più note vicende delle marce di Martin Luther King, riesce a scorrere piacevolmente come una commedia dalle facili risate, con il retrogusto amaro di un dramma che comunque tocca una tematica delicata e ancora sentita in gran parte del mondo. Ne sono passati altri 60 di anni dalle vicende e dal contesto rappresentato nel film, ma possiamo davvero dire di aver superato del tutto i pregiudizi verso le diversità? Siamo in grado di accettare, nella marea di tonalità con cui riempiamo le nostre vite, anche il 'nero' riconoscendo la sua assenza di colore come simbolo di essenzialità, naturalezza e basilarità?


'Dio dice che bisogna amare il nostro nemico. È difficile però... Ma si può cominciare dicendo la verità. Nessuno mi aveva mai chiesto cosa provavo a essere me stessa. Quando ho detto la verità... Mi sono sentita libera'


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