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American Horror Story: Double Feature - Part 1: RED TIDE

Quest'anno, per il decimo anniversario della seria antologica horror-cult American Horror Story, gli sceneggiatori Ryan Murphy e Brad Falchuk hanno deciso di regalarci una stagione davvero particolare, utilizzando una modalità di presentazione cinematografica apparentemente inedita ma che in realtà ha origini remote nello scorso secolo. Il sottotitolo utilizzato per AHS10 è Double Feature, che tradotto significa 'doppia programmazione'. La doppia programmazione era una modalità di proiezione cinematografica in voga nei cinema degli anni '30 e che consisteva essenzialmente nel proiettare '2 pellicole al prezzo di 1'. Gli spettatori quindi, in un'unica serata, fruivano della visione di ben due opere artistiche che potevano spaziare dal cortometraggio, al documentario, alla performance teatrale, fino anche al vero e proprio doppio lungometraggio.



Murphy e Falchuk dunque, adattando il cosiddetto 'doppio spettacolo' al piccolo schermo, hanno voluto così dividere la decima stagione di American Horror Story in due parti, con due storie diverse tra loro, presentate però con una contrapposizione tematica. La prima, intitolata Red Tide, legata all'elemento del mare, la seconda, Death Valley, a quello della terra/sabbia. In arrivo in Italia il 20 Ottobre in anteprima su Disney+, negli States si è invece da poco conclusa la prima delle due parti, e noi, in attesa di completarne la seconda, possiamo dirvi come è stata questa tanto attesa Part One: Red Tide.


Ambientata nei giorni nostri, la prima parte di Double Feature racconta di una particolare cittadina balneare del Massachusets, Provincetown, affollatissima di turisti in estate ma quasi del tutto deserta nei mesi invernali. È qui che la famiglia Gardner decide di trascorrere tre mesi della propria vita per ragioni lavorative, godendo del surreale silenzio che si avverte in questo centro abitato per trarre la massima ispirazione in quelle che sono le rispettive professioni famigliari, rientranti tutte in ambito artistico/creativo: Henry Gardner è infatti uno sceneggiatore, sua moglie Doris un'arredatrice d'interni, e la piccola figliola Alma una violinista prodigio. Tuttavia sin da subito Provincetown si rivela essere un posto per nulla accogliente; alla diffidenza dei pochissimi abitanti del paese si uniscono le continue aggressioni che i Gardner subiscono da strane creature con sembianze poco umane. Sono proprio questi ultimi spaventosi personaggi al centro dello sviluppo narrativo di questa nuova sfaccettatura del genere horror che AHS quest'anno ha deciso di affrontare.



Le 'creature' che aggrediscono i Gardner appaiono da subito una sorta di ibrido tra vampiri e zombie. Assetati di sangue, si aggirano per il paese alla ricerca di vittime, con movenze rallentate e disumane tipiche proprio dei 'morti viventi'. È questa già la primissima novità di questa 'mini-stagione', il raccontare di una nuova forma di mostruosità senza però mai definirla. Sappiamo che il vampirismo è già stato al centro dell'universo di 'Murphy & Falchuk' nella quinta stagione di American Horror Story, sottotitolata Hotel. Tuttavia, proprio per discostarsi e non 'ripetersi', le creature succhia-sangue di Red Tide non vengono mai chiamate vampiri ma più genericamente esseri alla ricerca continua, e a tratti disperata, di sangue umano.


Gli sceneggiatori hanno voluto avvicinare questa volta il genere horror ad un tema molto interessante, ossia quello del progresso scientifico, spogliando il tutto da qualsiasi legame col sovrannaturale e ricordando quel mix fantascientifico/mostruoso tipico del cinema di David Cronenberg. Quel che ha ridotto in 'assetati di sangue' molti abitanti di Provincetown viene infatti analizzato scientificamente, avvicinando il tutto a tematiche, anche dal punto di vista sociale, molto attuali, soprattutto negli ultimi due anni dove, a causa dalla pandemia da Covid-19, il progresso medico-farmaceutico è stato oggetto di continue e spesso gratuite valutazioni dall'intera popolazione mondiale. Sono giorni, quelli che stiamo vivendo, saturi di scetticismo verso la ricerca scientifica, e quotidianamente tutti noi ci ritroviamo a scontrarci con le opposte linee di pensiero che proliferano a riguardo.

Sapientemente la scienza in Red Tide diviene strumento per raccontare quella che è un'altra realtà sociale attualissima, ossia la continua e frenetica ricerca della perfezione in ambito professionale ed artistico, che spesso finisce col tramutarci in macchine convulse e col farci dimenticare l'importanza dell'attesa, della pausa, della riflessione o del semplice e mero godimento della vita. Il capitalismo frenetico, che è ormai diventato più un modus vivendi che un semplice fenomeno economico, ci spinge costantemente ad essere perennemente in competizione l'uno contro l'altro, a dover dimostrare sempre più a chi ci sta attorno, rendendo la vita una sorta di corsa a staffette predefinite ed omologate; questa fretta genera indubbiamente un grande senso di frustrazione, spesso disumanizzandoci. La disumanità diviene in Red Tide metaforizzata proprio dalle 'creature' assetate di sangue, invero frutti malati e deviati di questa ossessiva corsa sociale. Uno degli effetti collaterali di questa odierna frustrazione umana diviene sempre più quello della 'dipendenza', non solo, come è più facile pensare, da sostanza stupefacenti (altro tema primario in Red Tide), ma anche affettiva ed immateriale, assuefazione che ci rende costantemente alla ricerca di 'qualcosa in più' (proprio come le creature di Provincetown ricercano costantemente sangue), condannando dunque, in modo anche abbastanza retorico, tutto quello che ci fa star bene momentaneamente ma che, a lungo termine, finisce col consumarci.



Seppur con tematiche di base così forti, interessanti ed attuali, Red Tide, partito con le migliori delle premesse, finisce, come quasi tutte le ultime stagioni di American Horror Story, col perdersi strada facendo, mettendo in scena dinamiche prevedibili e ripetitive, e approdando ad un finale confuso, superficiale e frettoloso, che non rende assolutamente giustizia alla profondità di argomenti così importanti.

Degni di nota però ci sono una serie di aspetti tecnici in questa stagione davvero entusiasmanti, in primis una fotografia eccezionale, aiutata moltissimo dalla scelta di una location che esprime già da sola quella sensazione di desolazione mista a caos che viene poi interiorizzata da quasi tutti i personaggi della stagione. Ad essa si aggiunge una colonna sonora enfatizzante che ci guida all'interno degli stati d'animo di ogni personalità narrata in Red Tide, facendosi sempre più 'stridente' negli attimi di tensione, e malinconica in quelli di profonda tristezza (sì, perché inaspettatamente American Horror Story quest'anno riesce a lasciarci anche una profonda amarezza mista a mestizia, cosa che non avvertivamo dai tempi di Asylum).


Portatrice assoluta di questa angosciante disperazione è il personaggio di Doris, interpretato da una magistrale Lily Rabe, in uno dei suoi migliori ruoli. Come quasi spesso accade con AHS, alla mediocrità della sceneggiatura si contrappone la magnificenza recitativa del cast. Accanto infatti ad una intensa Rabe ritroviamo la grande conferma che è Sarah Paulson in un personaggio, Tuberculosis Karen, destinato a divenire iconico nell'universo 'Murphiano'. La fragile Karen rappresenta infatti l'unico esempio di malinconico e struggente attaccamento alla vita reale che, agli occhi di chi invece ricerca costantemente lo splendore, appare decadentemente inadeguato. La sua imperfezione tuttavia, così carica di umiltà e dignità, lascia a quello che è, come già detto, un finale da una morale molto amara, l'unico messaggio di speranza che può spingere lo spettatore ad andare oltre le apparenze e ad accettare le proprie debolezze con orgoglio e sincerità. Focalizzante è anche il personaggio di Ursula, interpretato da Leslie Grossman, uno dei pochi protagonisti a restare umano nel corso della vicenda, ma paradossalmente il più mostruoso di tutti (ancora una volta a condannare l'umanità stessa come causa del proprio male e generatrice di caos e nefandezza).

A fine stagione ci si arriva a domandare che ruolo abbia sostanzialmente il mare nella narrazione. Presentato infatti come elemento cardine di Red Tide, non è facile coglierne l'importanza all'interno della vicenda per riuscire dunque a considerarlo qualcosa di più di un semplice elemento scenografico. Tuttavia se ci si sofferma su precisi fotogrammi (ancora una volta la fotografia risulta curata ed essenziale per la narrazione), questo diventa proprio l'elemento che, a mo' di parentesi, apre e conclude la parabola di questa aspra storia. Ispirazione e morte. Sono queste le due funzioni principali che attribuisco al mare in Double Feature Parte Prima. Le onde invernali sono la calamita, l'incipit, il primo tasto che si preme per mettere in moto lo sviluppo degli eventi. Nel mezzo ( ALLERTA SPOILER ) però questo fattore si perde, diventa quasi un elemento di scena, sullo sfondo, in secondo piano, per poi tornare predominante in quello che io considero il vero e proprio finale di questa piccola stagione: la morte di Karen.


Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita. Perché vita e morte sono una cosa sola, così come il fiume e il mare.
Khalil Gibran

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