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  • Immagine del redattoreStefania

Barbie - L'estremismo non è la soluzione


Non mentiamo! Tutti noi abbiamo aspettato con trepidazione il 20 luglio per vedere la pellicola di “Barbie”, sia per amarla sia per criticarla. Ebbene il film che ha per eccellenza utilizzato più vernice rosa nella sua scenografia, tanto da consumarne anche le scorte, ha rispolverato il marchio Mattel e restituito un volto alla bambola più amata della nostra infanzia, facendo il suo ingresso ispirato a “2001: Odissea nello spazio”. Capelli corti, abiti colorati o ricreati con la carta e scarpe spaiate: le nostre Barbie hanno subito vari cambiamenti, perché sin da piccoli si voleva sperimentare ed è stato proprio questo l’obiettivo iniziale. Nel film c’è uno spazio dedicato a questo tema, incarnato da “Barbie Stramba” (Kate Mckinnon), colei che rappresenta tutto questo; colei che però sa essere quasi un personaggio fondamentale per la ricerca personale di “Barbie stereotipo” quasi come fosse una psicologa.

Ma partiamo dal principio! Sin dall’inizio il film presenta il mondo tutto rosa di “Barbieland” e la vita perfetta di tutte le Barbie ignare del patriarcato che incombe nel mondo reale. Tutto inizia a vacillare quando “Barbie”, interpretata dalla bravissima e bellissima Margot Robbie, si imbatte nei pensieri di “morte”.

Da quel momento vede la sua routine perfetta, iniziare a sgretolarsi e andare in frantumi. Perché quel pensiero così umano? Ecco che a quel punto si rivolge a “Barbie Stramba” che le consiglia di visitare il mondo reale per trovare la bambina che ha giocato con lei sin da piccola. Da qui l’avventura decolla! Questo film che apparentemente poteva essere un flop, annulla questa diceria, ma al contempo estremizza troppo, a parer mio, alcuni aspetti quale il femminismo. E’ un film inclusivo, che normalizza e valorizza la diversità, che abbatte gli stereotipi legati alla perfezione, che innalza i valori umani, l’indipendenza femminile e il matriarcato punendo il patriarcato, mettendo in risalto il femminismo, sottomettendo il genere maschile. Ma davvero c’era bisogno di estremizzare l’ultimo punto? Non serve denigrare un genere per esaltarne un altro; non serve evidenziare sul cartellone affisso all’ingresso del cinema “Barbie può essere tutto ciò che vuole, Ken è solo Ken”.

Che messaggio passa? Così facendo diventa tutto un controsenso e si annullano tutti i buoni obiettivi elencati in precedenza. Ken, interpretato da Ryan Gosling, appare goffo e dipendente da Barbie, con una crisi adolescenziale e una dipendenza affettiva, incapace di stare da solo e trovare un posto nel mondo.

L’uomo all’interno di Barbieland sembra dover sottostare al matriarcato. Questo parallelismo tra quest’ultimo punto e il patriarcato che vige, invece, nel mondo reale poteva essere sviluppato in modo diverso, con meno rabbia e più seriamente, senza sconfinare nella banalità del ricatto e della vendetta. Ad esempio, i dirigenti Mattel sono stati presentati quasi come fossero marionette senza personalità, poiché uomini (proprio come tutti i Ken).

I bei messaggi che si son voluti tramettere tramite Barbie, sono stati in parte annullati ridicolizzando e sottomettendo il genere maschile. Ricordiamoci: il femminismo lotta per la parità dei sessi, non per la superiorità a discapito dell’altro. L’estremismo non è la soluzione! Perciò, tra giudizi e critiche positive e negative che leggo in questi giorni, mi colloco nel mezzo ribadendo che gli obiettivi sono nobili, ma sono stati in parte sviluppati male. Adesso si aspetta il rivale tanto atteso il 23 agosto: Oppenheimer di Nolan! Peccato che parta già svantaggiato rispetto a Barbie, privo del mercato economico, del business e del merchandising costruito alle spalle … Ma in compenso, ricco di contenuto! Non vediamo l'ora!


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