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Ernest Hemingway | Scrivere come un pittore

“Hemingway scrive a secco, non sbava quasi mai, non gonfia, ha i piedi per terra”



Così Italo Calvino definisce la scrittura di Ernest Hemingway: quel famoso taglio “telegrafico” di cui l’autore stesso andava fiero, quella veridicità e quella sinteticità attribuibile solo al tratto distintivo hemingwayano.

Hemingway inizia ad introdurre in letteratura lo stile “parlato”, associabile alle opere di Mark Twain, in quanto impara ad utilizzare parole semplici, tratte dal linguaggio comune: termini gergali, monosillabi che donano alla frase un caratteristico ritmo staccato, uno stile volutamente alienato da una certa tradizione belletristica. L’intento che una tale scelta sottende è quello di mantenere con le “cose” un rapporto quanto più stretto possibile, quasi ad aderirvi. Il rapporto e il paragone tra la dicotomia musica/ pittura, ha sempre affascinato l’autore: sua ambizione è stata sempre quella di “scrivere un racconto così come un pittore dipinge un quadro”, con la stessa organizzazione per le parti, per la dosatura delle tinte, per le pennellate di colore dettate dall'innato automatismo psichico artistico. Invece, dalla musica volle trarne l’uso del contrappunto, opponendo temi e toni senza udirli. Non dovrebbe dunque meravigliare la seguente dichiarazione: “Nel primo capoverso di Addio alle Armi ho ripetutamente e consciamente utilizzato la congiunzione ‘e’ allo stesso modo che J. S. Bach usa una nota musicale”. Con quest’opera letteraria, con questo “gioiello della letteratura”, l’autore inizia ad assemblare tutte queste peculiarità che da sempre l’hanno reso celebre.


Addio alle armi (A Farewell to Arms), pubblicato nel 1929, è un romanzo basato sulle esperienze personali di Hemingway vissute durante la battaglia di Caporetto sul fronte italiano, dove prestò servizio, in quell'occasione, come conducente di ambulanza nella Croce Rossa Americana: racconta la sua storia d’amore con l’infermiera Agnes von Kurowsky conosciuta a casualmente( e grazie direbbe) ad un’operazione che subì alla gamba ferita. Il suo alter ego nel romanzo, Frederic Henry nel 1917 viene ricoverato all’Ospedale Maggiore di Milano e lì incontra l’infermiera inglese Catherine Barkley (Agnes von Kurowsky): un rapporto che pian piano si solidifica e diventa sempre più passionale e meno occasionale. L’amore che arde tra i due protagonisti coinvolge il lettore che si lascia trasportare “Di là dal fiume e tra gli alberi” (altra magistrale opera letteraria del suddetto scrittore).


“So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è incominciata. Ma con Catherine non c'era quasi differenza nella notte tranne che era anche meglio.”



La storia d’amore tra i due ragazzi fu trasportata su pellicola nel 1996 dal regista britannico Richard Attenborough: “Amare per sempre” (In Love and War) avente come protagonisti Sandra Bullock e Chris O’Donnell. Il seguente film introduce l’intrigante e avvolgente amore platonico, che ancora una volta sa sopravvivere al dolore e all’odio che causa la guerra. Ci sono differenze e dissonanze tra il film e il libro, dettate dalla libertà d’espressione del regista durante la creazione del film: eventi che sono distanti dalla realtà o che lo stesso Hemingway non specifica o descrive differentemente. Come riscontrato anche in altri remake, il libro rimane sempre intramontabile. A parer mio, neanche questo film ben realizzato, può racchiudere la veridicità della prosa e degli eventi che lo scrittore è riuscito a farci rivivere attimo per attimo: un mix di emozioni e stati d’animo che non possono essere inscenati o resi veritieri. Ad esempio vi sono alcune divergenze: non si conosce dettagliatamente il rapporto tra il giovane Ernest e l’infermiera Agnes, come invece nel film riportato durante l’episodio dell’incontro della coppia in albergo. In aggiunta i due non hanno mai avuto l’occasione di incontrarsi nella casa sul lago Michigan e il loro ultimo incontro avvenne in Italia nel 1918, con una scambio epistolare registrato sino al 1919.

La prosa veritiera dell’autore sembra diventar un’evanescente storia d’amore dal finale diafano e scontato; la peculiarità di Hemingway sembra offuscarsi insieme alla sceneggiatura. Un libro così bello da non aver bisogno di rese cinematografiche, poiché si intralcia la poesia della scrittura dell’autore stesso. Manoscritto intramontabile destinato solo all'immaginazione della nostra mente; l’invenzione dei luoghi, dei paesaggi e degli eventi sembrano esser anticipati da codesta pellicola a tratti povera di ricchezza hemingwayana. Alle volte si deve lasciar solamente posto all'immaginazione del lettore, che diventa a sua volta regista delle proprie sceneggiature…



“Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma non avrà una particolare premura.”


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