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Euphoria | Intossicazione psichedelica generazionale

euforìa s. f. [dal gr. εὐϕορία, der. di εὔϕορος «che si porta facilmente; sano, fertile», comp. di εὖ «bene1» e tema di ϕέρω «portare»]. – 1. Sensazione, reale o illusoria, di benessere somatico e psichico che si traduce in un più vivace fervore ideativo, maggiore recettività per gli aspetti belli e favorevoli dell’ambiente, tendenza a interpretazioni ottimistiche; può essere segno di una reale condizione di perfetta salute, ma talora è connesso con fenomeni per lo più lievi d’intossicazione (da alcol, stupefacenti, ecc.), o con disturbi psichici, o addirittura con stati tossinfettivi gravi.

[fonte: Treccani]





Nell'universo delle serie televisive un posto peculiare è occupato dai teen drama i quali, da sempre, sono stati in grado di attirare l'attenzione del grande pubblico, non solo nella sua fascia adolescenziale, ma anche in quella più adulta, curiosa di scoprire quali fossero le dinamiche interazionali di una generazione lontana dalla loro. Chi, tra i millenials, non ha mai visto una puntata di Beverly Hills 90210 o Dawson's Creek? La prima concentrata sulle vite degli adolescenti benestanti della soleggiata California, la seconda più vicina ad una realtà periferica e rurale, e forse più assimilabile dal suo pubblico. Negli anni 2000 una posizione rilevante ha poi avuto The O.C. che, quasi specularmente a Dawson and co., raccontava di una nuova generazione di adolescenti ricchi, quelli figli di Brandon & Brenda, alle prese con i classici problemi giovanili, perlopiù ruotanti attorno alle relazioni di coppia, famigliari, d'amicizia e liceali. Lo scorso decennio ha visto questo genere subire un mutamento, quasi necessario: i teen drama non potevano più limitarsi a narrare sempre e solo di amori tormentati e famiglie complicate, il genere si è quindi dipinto di sfumature nuove, prese da categorie cinematografiche diverse, come il giallo che ha contraddistinto 'la serie più trash di tutte', Pretty Little Liars, o il musical sperimentato in Glee. Si è cercato, insomma, di dare un colore diverso ad un settore stilistico molto inflazionato nel mondo delle 'tv series', quasi sempre però con risultati non troppo convincenti.

L'ultimo step in questo excursus nel dramma adolescenziale, si è avuto con la serie 13 Reasons Why. Con essa si è tentato di comunicare, tramite il mezzo televisivo ed una 'confezione' teen attraente, un problema molto importante e caratterizzante la generazione di adolescenti post nuovo millennio: il bullismo e le conseguenze estreme che esso può avere. Il risultato è stato una prima stagione di successo e qualità, ma altre tre season successive che hanno vanificato quello che doveva e voleva essere il messaggio principale da trasmettere, rendendo a tratti ridicolo lo sviluppo della vicenda e raccogliendo una marea di critiche un po' ovunque.

È sulla falsa-riga di 'denuncia' di 13 Reasons Why che si colloca Euphoria. Si tratta di una nuovissima serie televisiva, genericamente inquadrabile nel genere teen, reboot di una omonima miniserie israeliana, portata sugli schermi statunitensi nell'estate del 2019 da Sam Levinson . La vicenda si discosta subito dalla sua antecedente asiatica, per risultare nei fatti molto più vicina a quelle che sono state le vicende che lo stesso Levinson, classe 1985, afferma di aver vissuto durante la propria adolescenza. Per prima cosa, ad attirare l'attenzione sull'ennesimo teen drama, è il fatto che il network scelto per la sua messa in onda sia l'HBO, da sempre famosa per farsi canale di lavori 'molto forti e coraggiosi', alcuni in grado anche di rivoluzionare, con la propria crudezza e perdita di inibizioni, l'intero mondo televisivo (pensiamo all'avanguardia di Sex & The City o alla spietatezza di Game Of Thrones). Il fatto che sia stata proprio l'HBO ad 'acquistare' Euphoria non è un caso: la serie, ferma ancora alla prima stagione, composta solo da otto episodi, si rivela sin dal suo pilot un teen drama completamente anomalo rispetto a tutto quel che siamo abituati a vedere con questo genere. La trama racconta di Rue, una diciassettenne tossicodipendente che affronta la sua lotta quotidiana contro la dipendenza da sostanze stupefacenti. Attorno alla sua disintossicazione ruota un mondo, composto dai suoi compagni di liceo, completamente distorto e deviato in quelli che sono i valori fondamentali di una vita moralmente corretta.


La tossicodipendenza è infatti solo uno dei tanti temi toccati da Euphoria, e forse anche il meno brutale. In primis bisogna sottolineare che l'argomento non è raccontato in modo superficiale come spesso accade, ma viene da subito legato a quelle che sono condizioni psicologiche che determinano e spingono spesso i più giovani, pressati sempre più da patologie come ansia e depressione, a trovare passione, vita, 'euforia', nella via più facile e sempre più facilmente a portata di mano, quella delle droghe. Parallelamente viene anche analizzato il rapporto che la generazione del nuovo millennio ha con il sesso, inevitabilmente condizionato dall'avvento di internet e dei social media che ne hanno completamente cambiato, distorto, quella che era la scoperta più lenta, curiosa e spontanea che ha contraddistinto l'epoca dove le spiegazioni al riguardo erano meno immediate ed il taboo regnava.


Non mancano poi, come è giusto che sia per il genere affrontato, analisi su quelli che sono i 'nuovi' rapporti genitori/figli, ormai contraddistinti da una malata attitudine dei primi nel voler proiettare sui secondi ogni propria singola ambizione mai realizzata, finendo con il creare in essi l'ideologia del 'superuomo (o donna)' in grado di poter fare tutto, elevandosi su tutti gli altri, alimentando un insano narcisismo che sfocia in frustrazioni e cumuli di rabbia a seguito di quelli che sono, per natura normali, i fallimenti e le sconfitte della vita.


Euphoria sceglie di raccontare dei 'nostri ragazzi' senza alcun filtro, se non quello glitterato e lucente che la fotografia ed il make-up hanno, dal punto di vista tecnico, contraddistinto la sua creazione. La lucentezza nel trucco, nel design e nell'uso delle luci diventa quasi disturbante, epilettico, psichedelico, rispecchiando in immagini la mancanza di limpidezza e chiarezza nei comportamenti dei protagonisti, che sembrano spesso 'schegge impazzite' nelle decisioni prese, in continua contraddizione tra loro.

Eppure la serie conquista e affascina proprio per il coraggio nell'aver osato raccontare tutto questo senza alcuna retorica o perbenismo, lo sguardo utilizzato è quasi documentaristico, non c'è morale, manca quasi del tutto la consapevolezza degli effetti distorti che questa vita sregolata in esseri umani ancora così giovani possa avere. Questo porta spesso a provare una mancanza di empatia con i personaggi, si arriva quasi a non sopportarli, ed è proprio questa indignazione, che lo spettatore prova, ad essere, evidentemente, la chiave vincente di questa serie.

Acclamata dalla critica, Euphoria, con l'interpretazione della splendida Zendaya, solo qualche settimana fa si è aggiudicata l'Emmy Awards per la Migliore Attrice Protagonista in una Serie Drama, e sembra che questo importante riconoscimento possa essere il primo di una serie altri grandi vittorie da ottenere.






Degni di nota sono anche le prova recitative della transgender Hunter Schafer, alla sua primissima esperienza come attrice, nei panni di Jules che, come la sua interprete, affronta in questa prima stagione il tema della transizione di genere, con una genuinità che la rendono probabilmente il

personaggio più brillante dell'intero cast, e di Jacob Elordi, che nella serie interpreta Nate, l'antagonista principale, un ragazzo con devastanti problemi di gestione della rabbia, frutto di un'incompleta ed artificiosa maturità sessuale e 'vittima' indiretta di quelli che sono stati 'i peccati' di una generazione precedente, quella dei suoi genitori.




Sì, perché la differenza tra quello che vediamo in Euphoria e ciò che noi cresciuti negli anni '90 abbiamo vissuto è solo e semplicemente la mancanza di veli. Mi spiego meglio, io credo che in fondo ogni generazione abbia avuto i propri buchi neri, le proprie zone d'ombra e 'devianze', la differenza sostanziale però, tra ieri ed oggi, è che adesso se ne parla in modo molto più schietto e disinibito. Questo è sicuramente da un lato un vantaggio, perché tutti sappiamo che il primo passo per affrontare un problema, anche sociale, è parlarne, riconoscerne l'esistenza. D'altra parte però, questa eccessiva esposizione di quelle che sono le problematiche dei ragazzi può diventare un'arma a doppio taglio che, se non percepita con il giusto senso critico, finisce con l'avere l'effetto opposto, ossia quello di normalizzare certi comportamenti autodistruttivi. Per questo, in attesa della seconda stagione prevista per il 2021, il pubblico ideale per questa brillante serie tv penso debba essere composto da un'intera famiglia, e non dal singolo adolescente che ne potrebbe uscire spaesato, trovando nel confronto tra generazioni la giusta chiave di lettura per un prodotto televisivo davvero particolare e che nel tempo farà ancora sicuramente parlare di sé.

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