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It's A Sin - E la stigmatizzazione dell'amore

Aggiornamento: 22 gen

Il processo evolutivo delle 'serie tv' negli ultimi anni ha riportato in auge il format della 'miniserie'. Alle lunghe e spesso anche noiose fiction televisive con innumerevoli stagioni, prolungate nel tempo perlopiù per politiche monetarie che per ispirazione artistica, negli ultimi anni si è preferito investire l'intero budget, a sostegno di un progetto televisivo, in un'unica e sola stagione, da poche puntate e con una durata media superiore ai canonici '40 minuti', puntando maggiormente sul casting di nomi già affermati nello star system che sulla durata in episodi nel prodotto in sé. La visione di una miniserie risulta così più agevole e conforme alla diffusione dei servizi di streaming dove, anziché aspettare con cadenza settimanale l'uscita di un singolo episodio, si preferisce, con la cosiddetta 'maratona televisiva', fruire di più puntate tutte insieme, sostenibili dallo spettatore anche nell'arco di una sola giornata. Le miniserie così si inseriscono in un contesto visivo molto vicino a quello dei lungometraggi, sembrando sempre più una sorta di 'unico film' scaglionato in più parti. Tra le tante novità proposte durante l'anno in corso spicca il nuovo progetto di Russel T Davis, conosciuto perlopiù per la serie lgbt cult del 1999 Queer As Folk, chiamato It's A Sin.



La miniserie di Davis, composta da sole 5 puntate, è uno di quei pochi prodotti britannici in grado di concorrere in un mercato in cui gli Stati Uniti di solito primeggiano. Originariamente trasmessa dal network inglese Channel 4, It's A Sin sbarca invece negli States sul coraggioso nuovo servizio streaming video HBO Max. Anche in Italia la miniserie si concilia perfettamente con il lancio in streaming, si può infatti recuperare on demand su Starz Play.

In meno di 5 ore questa serie britannica riesce a contenere una marea di temi ed argomenti, complessi e piacevoli nello stesso tempo, senza però risultare nella loro analisi mai affrettata o approssimativa. Capacità che a mio parere solo i grandi sceneggiatori riescono ad avere. It's A Sin copre temporalmente un decennio, quello degli anni 80, esattamente con il primo episodio ambientato nel 1980 e il quinto ed ultimo che giunge sino al 1991.

La serie racconta la vita, l'amicizia, gli amori, i sogni, gli studi e la carriera di un gruppo di amici, tutti appartenenti alla comunità queer, in una Londra che in quel decennio appare come una sorta di oasi felice, soprattutto per chi giunge dalla provincia, nel poter vivere liberamente la propria omosessualità e sperimentare quella libertà sessuale da tanto e troppo repressa dalla società nei primi anni adolescenziali. La vita sessuale dei nostri protagonisti esplode attorno ai 20 anni come una vera e propria bomba che scardina e demolisce ogni singola barriera, paura, senso di colpa e limitazione che vigeva nelle famiglie britanniche di quei tempi.


La libertà che si acquisisce andando a vivere in città, lontani dalle proprie famiglie di origine, è allo stesso tempo emancipazione e spesso anche promiscuità sessuale, analizzata e mostrata dalla serie nel modo più euforico, gioioso e liberatorio possibile. Ma la piaga dell'AIDS, come la storia ci insegna, giunge a livelli epidemici proprio durante quel decennio, stroncando e tingendo di nero tutti i colori dell'orgoglio queer. Tema centrale della serie è proprio il come questa nuova malattia, originariamente più diffusa oltreoceano, venga percepita nel vecchio continente. Attraversiamo durante i cinque episodi di It's A Sin i diversi momenti di ricezione di questa terribile sciagura, dalla fase dell'estraneità, a quella dell'inconsapevolezza, dell'ignoranza, del terrore, sino a quelle della ricerca, del sostegno e della comprensione. Tutte queste fasi vengono recepite dai ragazzi di It's A Sin in modo variegato così da poter dare al telespettatore diverse chiavi di lettura sul come la malattia sia stata 'accettata' dall'intera società (non solo quindi dalla comunità lgbt). L'ignoranza su cosa esattamente fosse l'AIDS è un fattore inizialmente comune a tutto il complesso sociale, che andrà però velocemente a dividerne la collettività, stigmatizzando e discriminando ulteriormente la comunità gay. L'AIDS infatti viene da subito marchiata come una malattia esclusiva 'del mondo omosessuale', diventando quindi l'ennesimo pretesto per alimentare omofobia e disincentivare i Governi nella ricerca di una sua cura. Per i più estremisti del mondo cattolico addirittura l'epidemia era vista come una punizione divina per la promiscuità sessuale che si attribuiva esclusivamente al mondo queer. Solo con l'arrivo degli anni '90 si inizierà a comprendere quanto il virus dell'HIV possa circolare anche nel mondo eterosessuale, in particolar modo apprendendone con più precisione le modalità di trasmissione, mettendo fine a barbare pratiche di isolamento e reclusione di migliaia di ragazzi gay 'infetti', e dando vita ad una rete importante di sensibilità solidale verso la tematica, perlopiù dovuta, come spesso accade, all'attivismo non politico e più vicino invece al mondo artistico.


Uno degli aspetti più apprezzabili in It's A Sin è la varietà che caratterizza il mondo queer, con protagonisti molto diversi tra loro e con cui quindi facilmente empatizzare. Dal più frivolo e promiscuo Ritchie al ligio e casto Colin, fino al camaleontico ed eccentrico Roscoe, la comunità gay londinese appare nella miniserie proprio come quella bandiera rainbow che ne è suo simbolo: piena zeppa di diversità, di colori, abbattendo ogni stereotipo sociale che si è solito attribuire ad essa generalmente. Questo 'mix' di diverse storie ed approcci verso il sesso e l'amore sono sicuramente tra le carte vincenti della miniserie, sostenute in ciò da prove attoriali magistrali.

Un incredibile Olly Alexander (frontman della band inglese Years & Years), che già ci ha dimostrato la sua immensa versatilità artistica come cantante e ballerino, riesce con It's A Sin a prendere di diritto un posto d'onore anche nel panorama attoriale.


A fargli da spalla c'è una quasi esordiente Lydia West, che col personaggio di Gilles, unica figura centrale femminile del cast, riesce ad essere la vera e sola colonna portante del gruppo, attorno alla quale si intrecciano tutte le dinamiche e riflessioni più importanti della serie. Divertente, solare, gioiosa, ma anche premurosa, responsabile, solidale e coraggiosa, la giovane Gilles è la stella più luminosa del cast principale, l'eroina che ogni storia, inevitabilmente drammatica, ha comunque bisogno di avere. Il tono della miniserie, da esuberante e frizzante, si farà man mano sempre più cupo e commovente, senza però mai del tutto opprimere il telespettatore, capacità che riesce ad essere viva proprio grazie alla scrittura del personaggio della West.

Degna di lode d'onore è anche sicuramente la performance nell'episodio finale di Keeley Hawes (interpreta Valerie, mamma di Ritchie), personaggio secondario per tutto l'arco narrativo in grado però, negli ultimi 45 minuti di visione, di regalarci una lezione magistrale di recitazione che da sola basterebbe a candidare seduta stante la serie tra le meglio interpretate dell'anno. Prevedo infatti una valanga di nomination ai prossimi Emmy per questa spettacolare miniserie britannica, valorizzata oltretutto da una colonna sonora che, seppur abbastanza mainstream, riesce con precisione a raccontare quello che non è solo un semplice decennio, ma un vero e proprio micromondo, ricco di glitter e sintetizzatori, per cui provare inevitabilmente una forte nostalgia. Resta sempre in bilico in It's A Sin la colpevolizzazione della promiscuità sessuale, come 'causa' della diffusione dell'HIV, e la spettacolarizzazione del divertimento, della gioia e spensieratezza tipica di un decennio e di una comunità ricca di orgoglio ma anche di contraddizioni. È una scelta della sceneggiatura ben precisa quella di esentarsi da giudizi gratuiti, come è giusto che sia, su un argomento così delicato, e lasciare dunque a chi guarda la facoltà di elaborare un proprio preciso pensiero che, nella maggior parte dei casi, non può mai finire col condannare quella che in fondo è semplicemente una forma d'amore. E' proprio il personaggio di Gilles a porre nel finale una riflessione importante: la promiscuità così ostentata in molti dei protagonisti risulta essere una conseguenza della mancanza di comprensione e amore ricevuto dagli stessi nelle proprie famiglie d'origine, il sesso facile si tinge così di una nuova veste che lo raffigura non più soltanto come fine a se stesso, ma lo rivela come la più immediata e carnale ricerca d'amore, di riempimento di un vuoto affettivo che ha afflitto più generazioni di omosessuali (e che forse resta vivo in parte anche nel nostro presente). Dunque chi siamo noi per poter condannare quello che in fondo, nel senso più primordiale del termine, resta semplicemente amore?


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