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LA SCUOLA CATTOLICA | Il film di cui tutti avevamo bisogno


“La scuola cattolica” del regista Stefano Mordini, tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati (vincitore del Premio Strega nel 2016), è un film ambientato nel contesto politico e socio-culturale dell’Italia del 1975, in particolar modo della Roma borghese di quegli anni, in cui tra le famiglie si respira un’aria di apparente serenità e benessere che cela una sconcertante realtà di degrado morale ed etico. All’interno di questa cornice, il film affronta e analizza dettagliatamente molte tematiche relative al mondo giovanile di quell’epoca che purtroppo sembrano essere attuali più che mai, come ad esempio l’idea dell’uomo-padrone e la violenza sessuale nei confronti delle donne, considerate e trattate come oggetti, evidenziando così la necessità e l’importanza di rendere viva la memoria su uno dei femminicidi più mostruosi mai avvenuti in Italia, ovvero il Massacro del Circeo. Questa pellicola ha la capacità di destabilizzare lo spettatore, perché la vicenda si sviluppa in una dimensione narrativa in cui il tempo non è lineare, strutturando così il racconto su due piani narrativi che avanzano in parallelo per poi incontrarsi al Circeo, dimostrando l’intenzione da parte del regista di assumere il periodo storico come dato, in modo tale che la storia raccontata possa essere trasportata ad oggi.

I protagonisti sono i pariolini, ragazzi della Roma bene che frequentano un istituto scolastico maschile privato di stampo cattolico che conducono una vita basata su agiatezza, libertà incontrollata e ricchezza, in una cornice politico-sociale in cui vige la legge del sopraffare prima di essere sopraffatto, dove il male rappresenta quasi una prova da attuare e superare necessariamente per essere “veri uomini” in grado di affrontare la vita. Un’epoca in cui tra le famiglie viene attuata nei confronti dei figli un’educazione basata sull’idea che nella vita tutto è transitorio, pertanto tutto è concesso, attuando così un processo educativo che può essere riassunto in tre fasi: Persuasione, Minaccia e Punizione (apparente). Una realtà in cui omertà e indifferenza prendono il sopravvento quotidianamente nelle vite di adulti e adolescenti, dove chi non rispetta questi canoni comportamentali viene emarginato, attaccato e costretto a reprimere il proprio essere per sentirsi accettato.

Mordini è molto abile a mescolare le carte ed elabora in modo chiaro e diretto una fotografia luminosa e senza ombre di questa dimensione sociale, facendo entrare gradatamente lo spettatore nella vita quotidiana delle famiglie di quegli anni, dove risulta essere radicata una mentalità tradizionale di rispetto dei ruoli tra uomo e donna, facendo emergere le differenze tra noi e loro, adulti e adolescenti. Tutto questo è reso possibile anche grazie all’impeccabile interpretazione di attrici e attori eccezionali, capaci di esprimere alla perfezione la psicologia complessa dei loro personaggi, riuscendo a coinvolgere sin da subito lo spettatore durante l’intero sviluppo della vicenda.

In questo film i genitori, che agiscono all’interno di un quadro in cui le famiglie sono colte e benestanti, assumono un ruolo determinante: per esempio Raffaele Guido (interpretato da Riccardo Scamarcio) è un padre profondamente convinto di poter ricorrere sempre a "donazioni" al fine di riparare ai danni causati dalle azioni irrazionali del figlio, il quale, animato da un crescente senso di dominio e da un costante desiderio di supremazia e potere, utilizza la violenza e l'aggressività come mezzi di affermazione sociale.

Mentre Ilaria Arbus (interpretata da Valeria Golino) è una madre ignava, piuttosto che ipocrita, una donna orgogliosa dei figli che si muove con superficiale bontà, convinta di aver creato una famiglia solida e unita, di avere un figlio molto intelligente, una figlia bellissima e un marito che pensa di conoscere, ma che in realtà non conosce affatto.

È proprio all'interno di questo contesto sociale che viene inserito il racconto doloroso dell’atroce delitto compiuto a San Felice Circeo tra il 29 e il 30 settembre 1975 nei confronti di due giovani ragazze, di cui una minorenne, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez (interpretate rispettivamente dalle bravissime Benedetta Porcaroli e Federica Torchetti).

Viene mostrato come queste due adolescenti accettano l’invito di due “bravi ragazzi”, Angelo Izzo e Gianni Guido (interpretati rispettivamente da Luca Vergoni e Francesco Cavallo), di recarsi a una festa vicino alla casa al mare di un amico; le due giovani donne decidono di fidarsi di questi due ragazzi all’apparenza gentili e garbati, figli di famiglie rispettabili, senza alcun tipo di preoccupazione ma con l’unica premura di non tornare tardi a casa per non recare ansia ai propri genitori.

Questa scelta si rivelerà fatale per le loro esistenze, in quanto partono insieme ai due ragazzi verso Villa Moresca, la villa situata a San Felice del Circeo di proprietà di Andrea Ghira (interpretato da Giulio Pranno), il quale li raggiunge in un secondo momento, ma quella sera nessuna festa è in programma e sotto quella maschera di “bravi ragazzi” si nasconde in realtà l’indole delle peggiori bestie. Questa fase del film emblematica e decisiva è di grande impatto emotivo, perché suscita nello spettatore indignazione, rabbia ed un senso di impotenza, perché si assiste alla riproduzione filtrata di un atto spietato e deplorevole di brutalità disumana nei confronti di due ragazze indifese ed innocenti, che hanno come unica colpa quella di essere donne.

È importante sottolineare come queste scene incisive siano state rese nel massimo rispetto del dolore e di quello che è realmente avvenuto, in quanto la violenza rappresentata non è mai morbosa ma allo stesso tempo lascia immaginare ciò che è accaduto veramente.

Inoltre i tre giovani attori e le due giovani attrici di questo atto del film dimostrano un grandissimo talento e danno prova di straordinarie capacità interpretative, risultando credibili in ogni scena e capaci di arrivare dritti al cuore dello spettatore. Per più di un giorno e una notte Donatella e Rosaria vengono seviziate, violentate e massacrate; purtroppo Rosaria muore per le troppe percosse ricevute, mentre Donatella, nel momento stesso in cui avverte che sarebbe morta, non ha neanche il tempo di avere paura, in quanto decide di aggrapparsi alla vita disperatamente fingendosi esanime. I tre aguzzini caricano i corpi nel portabagagli della Fiat 127 di Gianni, con lo scopo di liberarsene ed in questo momento del film, risulta essere significativa e sconcertante la frase pronunciata in macchina da Izzo rivolgendosi a Gianni: «Dovevamo dare un segnale! Io e te siamo amici nella morte!». Fortunatamente un metronotte sente rumori strani provenire dall’auto, allerta i carabinieri ed in questo modo Donatella Colasanti viene ritrovata moribonda accanto al corpo dell’amica. Fino ad allora lo stupro era ritenuto reato contro la morale ed è proprio a partire dal processo per il Massacro del Circeo che è stato considerato reato contro la persona. È inaccettabile leggere dalle didascalie al termine del film che, dopo essere stati condannati all’ergastolo, Gianni Guido è stato rimesso in libertà nel 2009 dopo un'evasione fallita, Andrea Ghira è morto di overdose in stato di latitanza nel 1994 e Angelo Izzo, dopo essere stato liberato nel 2005, ha ucciso altre due donne, perché questo significa che non è stata ancora fatta giustizia, non è possibile che chi compie atti efferati come questo sia in libertà, Donatella e Rosaria meritano giustizia! Proprio per questo motivo “La scuola cattolica” è un film che deve essere assolutamente visto da tutti, perché porta alla luce una realtà e delle verità che purtroppo sono concrete e radicate anche nella società odierna.

Pertanto la censura che è stata imposta su questo film, l’aver vietato la visione di questa pellicola ai minorenni non fa altro che ostacolare la presa di coscienza da parte dei giovani di oggi e bloccare il processo di valorizzazione della Memoria, perché questo film mette alla prova chi lo guarda, segna nel profondo ed insegna che tutti coloro che non ricorderanno il passato con consapevolezza sono condannati a ripeterlo, commettendo gli stessi errori; soltanto ricordando sarà possibile evitare i cosiddetti “corsi e ricorsi storici” che purtroppo sono sempre esistiti. Inoltre nella motivazione della commissione censura si lamenta il fatto che ne “La scuola cattolica” le vittime e i carnefici siano equiparati, quando in realtà non è assolutamente così, in quanto vedendo questo film è molto chiaro ed evidente sin da subito il messaggio che vuole trasmettere, ovvero che è sempre possibile compiere una scelta nella vita e non deviare verso il male, nonostante si provenga dalla stessa cultura. Quello che è stato commesso nel 1975 è un delitto che ha cambiato la percezione del mondo in Italia e da cui non emerge neanche un motivo viscerale o ideologico, in quanto ciò che lo ha causato è la banalità del male.

Come dice Pasolini, la realtà non è un problema di classe sociale di riferimento, perché la violenza è trasversale, l’impunità è il problema; quel senso di violenza che pervade tutta la società è presente nella classe borghese quanto nella classe povera. La voglia dell’uomo di poter agire in maniera violenta verso il corpo della donna, come un oggetto su cui sfogare le proprie frustrazioni, succede in entrambi i contesti sociali; il problema è seguire l’impunità e questo accomuna tutto il maschio, non solo quello borghese e neanche solo quello cattolico. Il regista decide di allontanarsi dall’ideologia e di non connotare particolarmente i personaggi, non li etichetta, perché altrimenti sarebbero state ridotte le responsabilità delle loro azioni, in quanto sono persone colpevoli e assassini in quel tempo ma potrebbero esserlo nello stesso modo anche oggi. In questo film, i personaggi appartengono alla realtà borghese ma è anche vero che nello stesso racconto ci sono personaggi che vivono in quella stessa dimensione sociale e decidono di non compiere un crimine: chi non lo fa è perché ha capito il senso del limite, chi lo fa invece è perché vive un rapporto malato con la realtà, pensa di avere qualcosa da proteggere e non viene mosso da pazzia ma da arroganza. Il problema da sradicare è l’idea del padre-padrone, l’idea che il maschio in un momento di crisi possa ribadire, ancora una volta per paura, la sua convinzione di potersi permettere qualsiasi cosa, di poter uscire da qualsiasi situazione proponendosi come se non potesse essere giudicato, cercando un’impunità proprio nel rapporto uomo-donna. “La scuola cattolica” è il film di cui tutti avevamo bisogno, perché è arrivato in un momento storico in cui è essenziale che la memoria, seppur nera di cronaca nera del nostro paese, non venga dimenticata, soprattutto in una società di giovani dove tutto è così fugace da sembrare lontano dalla realtà. Pertanto si ha la responsabilità di battersi per la libertà e di non dimenticare mai, in nome della dignità brutalmente violata di chi è vittima di violenza, e da questo punto di vista il cinema è catartico, perché permette di vivere un’esperienza dal valore inestimabile, rappresentando un’occasione di riflessione di vita e di crescita personale.




La scuola cattolica - Trailer ufficiale


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