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Live...Work...POSE!

Aggiornamento: 6 mar 2020


Ho da pochissimo terminato la visione di una delle serie televisive più chiacchierate e premiate del momento, parlo di Pose, ideata da quel geniaccio di Ryan Murphy e da due tra i suoi collaboratori più cari, Brad Falchuck e Steven Canals. Sono da sempre ‘un curioso’ dei lavori di Murphy, non direi un suo vero e proprio estimatore, ma sicuramente quasi sempre incuriosito dal suo modo di lavorare ‘fuori dagli schemi’, non solo in campo cinematografico (tra i suoi pochi lavori per il grande schermo molti conosceranno Mangia, Prega e Ama), ma soprattutto in ambito televisivo (Glee, American Horror Story, Feud...).

La prima peculiarità del mondo murphyniano è sicuramente la scelta di sceneggiature che coniano i problemi sociali più contemporanei (e non), alla stravaganza e bizzarria di scelte registiche e stilistiche abituate a giocare con archi narrativi e linee temporali quasi mai rette e unidirezionali. La seconda è invece una caratteristica, purtroppo, negativa, ossia l’andamento quasi sempre chino della qualità delle sue serie: dopo travolgenti e meravigliose prime stagioni, quasi tutte le sue opere subiscono un calo di qualità che va pari passo, a mio parere, con una perdita sostanziale di interesse da parte del suo creatore, e la conseguente delegazione nella gestione del progetto a suoi collaboratori. Con Pose, attualmente, si è fermi alla seconda stagione, la terza è in arrivo quest’anno nella tarda primavera, e per fortuna la qualità si è mantenuta più o meno costantemente alta, tanto da portare la serie a numerosi riconoscimenti nel mondo degli Awards televisivi (primo fra tutti quello per miglior attore a Billy Porter durante gli ultimi Emmy) . La serie ha la sua ambientazione spazio-temporale nella New York tra la fine degli anni 80 (prima stagione) ed inizio dei 90 (seconda stagione). La scelta del periodo storico sembrerebbe cavalcare quell'onda di successo di cui le serie televisive ambientate negli 80s stanno ultimamente godendo (vedi Stranger Things). In realtà qui, seppur l’intento di raccontare decadi definite cult nella cultura contemporanea sia palesemente presente, lo scopo ultimo di Murphy è ancora più specifico e non fine a se stesso. Questo è dettato dalla necessità di parlare di un problema storico-sociale, ancora oggi molto importante, nato proprio nel cuore di quegli anni. Parliamo della più grande piaga sociale che i Paesi Occidentali si sono ritrovati a dover affrontare nello scorso secolo: la diffusione dell’HIV/AIDS. Conoscenze basilari sulla storia di questa epidemia ci portano a ricordare che, proprio nell'arco temporale in cui Pose è narrata, negli Stati Uniti vigeva una vera e propria indifferenza verso il diffondersi di questa terribile malattia. Addirittura, in maniera alquanto zotica, bigotta e moralista, sembrava quasi che una cura per il virus inizialmente non la si volesse nemmeno trovare in quanto, in modo sommario ed ignorante, l’HIV la si associava solo ed immediatamente al mondo omosessuale e per questo, per i più ‘credenti’, essa era vista come una vera e propria 'punizione divina' verso gli eccessi e lo stile di vita sregolato che si associava superficialmente a quel mondo. La novità e vera calamita verso questa serie è in realtà la prospettiva dalla quale questo tema, di per sé forte e ancora troppo stigmatizzato, è affrontato.

Sarebbe stato fin troppo facile per Murphy raccontare di questa piaga limitandosi semplicemente al punto di vista del mondo omosessuale. Egli invece specifica ancor più la prospettiva, circoscrivendola ulteriormente e parlandoci tramite una fascia sociale fin troppo ingiustamente ignorata. I protagonisti della nostra serie sono infatti perlopiù donne transessuali, di etnie sud/afroamericane, che, ai tempi della diffusione del virus, vivevano una condizione di 'discriminazione nella discriminazione', ossia considerate dallo stesso mondo che oggi chiamiamo LGBT al fondo della loro stessa scala sociale, tanto da non poter nemmeno frequentare liberamente quelli che a New York in quegli anni erano i già tanto diffusi ‘locali per gay (ma bianchi)’. Blanca, Electra, Angel, Candy e Lulu sono dunque costrette a vivere una doppia ‘vergogna’, a nascondere ‘doppiamente’ la propria identità di genere, senza la possibilità di trovare il proprio posto sia nel mondo del lavoro, sia anche più generalmente a livello sociale, motivo che spingerà gran parte di loro ad espedienti lavorativi poco legali, come lo spaccio di stupefacenti o la prostituzione, pur di riuscire ad avere almeno quotidianamente un pasto assicurato.



Quel che il mondo non era ancora in grado di offrire a questi coraggiosi esseri umani, era invece tutto concesso e vissuto nel microspazio delle ballroom. Vi starete chiedendo ‘ma cosa è una ballroom’?

È una sorta di universo parallelo, entro cui i personaggi di Pose sono finalmente liberi di essere se stessi, senza pregiudizi, senza la paura di una violenza gratuita e senza alcuna discriminazione. Le ball non sono altro che luoghi di raccolta dove la disco music anni 70/80 fa da padrona, in un contesto simile proprio a quello di una discoteca, ma con la particolarità di essere anche scenario di sfide e gare a suoni di tacchi a spillo e boa di struzzo. A sfidarsi in queste gare ci sono le varie house, vissute come delle vere e proprie ‘famiglie’ dai loro componenti, che ad ogni ball potranno mettere in mostra le proprie personali abilità: dalle sfide di voguing, stile di danza nato proprio in questo substrato culturale, portato poi alla notorietà dalla popstar Madonna, e che consiste nel danzare imitando proprio le ‘pose’ delle iconiche supermodelle di quegli anni; a quelle di runway, vere e proprie sfilate con ogni volta un diverso tema specifico, dove l’attenzione è tutta focalizzata sulla creatività degli abiti e dei look; fino a giungere alle competizioni di face, nelle quali è messa alla prova la capacità di ogni partecipante nel curare maniacalmente la pelle del proprio viso, mirando a rassomigliare sempre il più possibile a quelle donne immortalate sulle tanto patinate riviste di moda. Danza, estetica, moda e arte si mescolano dunque in questa cultura underground dal sapore liberatorio, gratificante, fiero e vittorioso. La house di riferimento, la famiglia a cui ogni partecipante alle ball appartiene, è proprio quel nido famigliare a cui spesso molti di loro, a causa della propria identità, han dovuto rinunciare. Ogni ‘casa’ è capitanata da una madre, una sorta di figura protettiva, generalmente con più anni di esperienza alle spalle, che, raccogliendo (a volte anche letteralmente) dalla strada ragazzi e ragazze alla ricerca del proprio posto nel mondo e dell’accettazione della propria identità di genere, dà ai suoi ‘figli’ un posto dove vivere assieme e crescere come una vera e propria famiglia. Parallelamente a tutto questo, un’altra tematica è fortemente presente ed affrontata nella serie, quella del boom economico che Manhattan si ritrova a vivere in quegli anni. E’ l’America di Trump (non come presidente ma ancora come imprenditore), quella del sogno americano, del capitalismo e dell’arrivismo sfrenato. In contrapposizione al mondo dei nostri protagonisti, Murphy ci regala quindi anche uno sguardo su questa così differente realtà, dove matrimonio, figli, un buon lavoro e accumulo di beni di lusso, sono valori essenziali. Il legame tra le due verità è la zona d’ombra su cui quest'ultima furtivamente si sovrappone. Al di là di ogni parvenza di normalità dell’american dream, si nascondono infatti scenari a volte molto più ignobili e raccapriccianti di quelli che proprio l’élite capitalista del tempo tende ad additare come prerogative del mondo omosessuale, in un gioco forza di attrazione/repulsione verso il proibito ancora tipico dei nostri anni. L’insegnamento più bello che Pose mi abbia potuto regalare in queste due stagioni è quel concetto rimodulato ed inedito di ‘famiglia’, che va oltre oltre ogni legame biologico e si concretizza solamente attorno all'amore.

Perché poi in fondo è sempre lì che si arriva, all'amore, tutto gira sempre intorno ad esso, sia quando ricerchiamo la nostra identità sessuale, sia quando incoscientemente viviamo la fisicità più viscerale della passione priva di pericoli, e sia quando con tenacia cerchiamo di rincorrere sfrenatamente i nostri sogni.


Il sangue non fa la famiglia, fa i parenti.

La famiglia è quella con cui condividiamo i nostri pregi e i nostri difetti, e continua comunque ad amarci.

La famiglia è quella che ci scegliamo.

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