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Mondocane - Uno scenario apocalittico per raccontare una realtà attualissima

È in corso, dal 1 fino all'11 Settembre, la 78° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia organizzata dalla Biennale, evento sempre più rilevante nel panorama artistico internazionale e vera e propria mecca per i cinefili di ogni genere. Tra le pellicole in concorso, nella categoria Settimana Internazionale della Critica, figura il lungometraggio dell'esordiente Alessandro Celli, chiamato Mondocane.



Mondocane è tra l'altro stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 3 Settembre, dando così modo anche a noi, che a Venezia non siamo riusciti ad esserci, di poterci fare un'idea su questa tanto attesa e particolare pellicola.

Il film di Celli si distingue da subito per la peculiarità della sua sceneggiatura, molto più vicina ad opere internazionali che al cinema tradizionale italiano.



In una futuristica Taranto, ormai vittima del disastro ambientale causato da un'imponente acciaieria, la popolazione cittadina vive divisa in quella che da una parte è la Taranto Nuova (accessibile a quanto pare solo alle famiglie più ricche e abbienti), e dall'altra la zona più prossima al colosso industriale, le cosiddette favelas, area delimitata da filo spinato e considerata contaminata, nella quale abitano tutti quelli che, per motivi anche molto diversi tra loro, hanno deciso di non abbandonare la città o comunque non hanno ottenuto accesso alla privilegiata vita che nel frattempo si tenta di costruire dall'altra parte. Epicentro di questa aera fantasma è il quartiere Tamburi, ormai trasformata in una vera e propria terra di nessuno, in cui bande criminali si contendono il dominio sul territorio. Tra queste bande figurano 'Le Formiche', capeggiate dal pittoresco personaggio del Capatosta (Alessandro Borghi). A metà tra un villain Marvel ed uno spaventoso futuristico Peter Pan, Capatosta vive circondato perlopiù da ragazzini, ormai orfani e senza alcune prospettiva di riscatto, che utilizza a sua volta nelle operazioni criminali dalla banda organizzate con l'obbiettivo (deviato) di voler capovolgere il sistema e ridare ai 'tarantini' quel che li appartiene di diritto, ossia il controllo del territorio.


Nella banda fanno capolino gli inseparabili amici, Pietro e Christian, due giovani tredicenni che vivono nella zona 'contaminata' della città senza alcuna figura genitoriale di riferimento. È il carisma di Capatosta e la prospettiva di una (qualsiasi) carriera futura ad avvicinare i due ragazzi alle Formiche, con conseguenze nella loro vita, e soprattutto amicizia, inaspettatamente violente e devastanti. È palese, anche se non viene mai nominata, che la vera nemesi di questa moderna fiaba dark sia proprio l'Ilva, quel mostro d'acciaio che da troppo ormai minaccia le vite odierne degli abitanti di Taranto. Il crimine, che è ormai legge sovrana nell'ambientazione della pellicola, non è altro che una conseguenza malata, ma quasi inevitabile, di un sistema che continua a mettere in secondo piano i problemi ambientali e sanitari rispetto alle logiche capitaliste ed economiche globali. Lo stesso Capatosta, nella sua brutalità, mostrerà di avere comunque una sua etica, un suo motivo, sicuramente contestabile, che lo spinge alle azioni criminali poste in essere per il possesso della città. Utilizzare due ragazzini come personaggi principali è un ottimo espediente per raccontare la realtà di questa sconvolgente Taranto da un lato con la purezza e naturalezza di un sentimento che nemmeno la più grande catastrofe mondiale può distruggere, ossia l'amicizia, ma d'altra parte in modo ancor più brutale, sottolineando come anche ai bambini è stata privata una parte importante della loro crescita, una sana infanzia, abituati sin da subito ad utilizzare la violenza come unica forma di difesa verso un futuro minaccioso e privo di prospettive.

Di grande effetto senza ombra di dubbio è la fotografia, immersa in tonalità arancio-grigiastro per quel che riguarda la 'Vecchia Taranto', mentre improvvisamente più vivida e vivace nelle scene girate nella zona 'Nuova'. Senza alcuna sbavatura anche gli effetti speciali, che danno a Mondocane un'atmosfera che ricorda quelle di Mad Max e che non lasciano nulla da invidiare alle più grandi produzioni internazionali.


Insomma, Celli si dimostra un eccellente regista alla sua prima opera per il grande schermo, carico di tanta ambizione nel voler creare un film diverso, sicuramente un punto di rottura per il cinema italiano, e di cui sentiremo certamente parlare tantissimo. Il fatto poi che nel cast, accanto a nomi più conosciuti come Borghi e Barbara Ronchi, figurino perlopiù ragazzini esordienti, regala proprio alle interpretazione dei primi due una potenza accentratrice e protettiva quasi genitoriale, a dare maggior spicco alle loro grandi doti attoriali. Non che i ragazzini protagonisti siano da meno, anzi, oltre ai due amici già citati, interpretati da Dennis Protopapa e Giuliano Soprano, spicca soprattutto l'interpretazione della piccola Ludovica Nasti, dotata di una fisionomia e mimica facciale esotica che buca lo schermo e che riesce a canalizzare nei suoi profondi occhi chiari tutte le emozioni vissute da Sabrina, il personaggio interpretato, un'altra orfanella che entrerà nelle dinamiche della storia tingendo la ferocia della trama di purezza e benevole istintività. Alla fine del film (andate oltre i titoli di coda per godere di una scena aggiuntiva) si ha però la sensazione che molto poteva essere approfondito. Sappiamo poco del 'destino' che attende i protagonisti, come altrettanto poco sappiamo delle storie di alcuni personaggi un po' amaramente trascurati, come la poliziotta Katia. Il materiale narrativo è così ricco da poter essere trasposto agevolmente in una miniserie, forma artistica forse più consona ad analizzare meglio le dinamiche del futuro distopico narrate da Mondocane.

Tirando le somme tuttavia, il film risulta davvero eccezionale, incolla allo schermo anche chi non predilige particolarmente l'azione come genere, e questo lo si deve indiscutibilmente alla attualità della tematica trattata, viva nei cuori dei tarantini, ma forse di tutti i pugliesi e di tutti quelli che ogni giorno lottano per un Pianeta più sano ed ecosostenibile, senza però voler d'altra parte rinunciare a quel diritto fondamentale di ogni uomo, ossia quello al lavoro, unico e solo strumento per un'esistenza dignitosa.

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